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Damiani e Santorelli: “Misure fiscali della “manovrina” inaccettabili.
Non possiamo escludere forme di astensione spontanea o organizzata dai nuovi adempimenti a carico dei professionisti”.

Le misure fiscali contenute nel decreto 223 sono “inaccettabili”, sia per gli effetti negativi che potrebbero produrre sull’economia sia per la loro natura punitiva nei confronti dei professionisti, per i quali si prospetta un ulteriore aggravio di adempimenti.

Lo hanno sostenuto il presidente del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti, Mario Damiani e quello dei Ragionieri, William Santorelli, nel corso dell’audizione svoltasi presso le commissioni Bilancio e Finanze e Tesoro del Senato sul DDL di conversione in legge del D.L. n. 223. I presidenti delle due categorie professionali hanno inoltre affermato che le misure contenute nel Dl che modificano i termini per la presentazione delle dichiarazioni e per il versamento delle imposte, rendono particolarmente critico per gli intermediari il periodo delle scadenze. “I dottori commercialisti ed i ragionieri”, si legge nel documento congiunto consegnato alle due commissioni parlamentari, “sono già oberati da pesanti obblighi e percepiscono la loro condizione pari a quella degli impiegati del fisco, utilizzati gratuitamente.

Non possono quindi accettare questa misura che li sottopone ad un lavoro stressante con adempimenti importanti ravvicinati nel tempo (redazione dei bilanci, calcolo delle imposte, calcolo degli acconti d’imposta, pagamenti, redazione delle dichiarazioni ed ora anche trasmissione delle stesse)”. Per questi motivi, secondo i due presidenti “non può escludersi che la protesta dei nostri iscritti, giusta e fondata, possa esplodere in forme di astensione spontanea o organizzata da tali adempimenti senza i quali l’Amministrazione finanziaria resterebbe senza elementi necessari per le sue attività”. Anche perché, si legge ancora nel documento, tra gli iscritti alle due categorie “vi è molto disagio e tanta irritazione”.

Più in generale i rappresentanti delle due categorie economico-contabili hanno espresso le loro riserve su tutto il pacchetto di norme fiscali contenuto nella Manovrina, esprimendo forte contrarietà innanzitutto sulle modalità dell’intervento, adottato in via d’urgenza e con significativi effetti retroattivi, “in spregio allo Statuto dei diritti del contribuente”. Altra notazione critica concerne “la confusione tra misure di razionalizzazione del sistema, poche e poco coordinate, e quelle di contrasto all’evasione, ovviamente condivisibili, ma talora impropriamente collocate tra quelle di razionalizzazione”.

Nell’analisi dei singoli provvedimenti, i commercialisti si soffermano innanzitutto sugli interventi nel settore immobiliare. Secondo Damiani e Santorelli andrebbe cassata la norma che prevede, con effetti retroattivi, il recupero dell’Iva detratta sugli acquisti. In alternativa si potrebbe ipotizzare una ”detraibilità ripartita” nel tempo dell’imposta sugli acquisti dei beni immobili, ovvero una “detraibilità differita” al momento della cessione del bene (con conseguente emersione della corrispondente Iva a debito). I principi di neutralità dell’Iva, messi in discussione dalla nuova misura, sarebbero così salvi e non vi sarebbero discriminazioni a danno del settore immobiliare. I due presidenti apprezzano in via di principio le misure autenticamente orientate al contrasto all’evasione e all’elusione, pur se, affermano, “alcune di esse in realtà hanno solo finalità di gettito ed occorre essere attenti ad una eccessiva dilatazione dei poteri dell’amministrazione finanziaria”.

Sulle misure relative al leasing immobiliare il documento sottolinea come le società del settore non potranno svolgere in futuro alcuna attività, dal momento che se un’impresa acquista un fabbricato strumentale può detrarre l’Iva, mentre se utilizza il leasing la società locatrice non può più detrarre l’imposta e quindi deve ricaricare l’Iva che non gli è possibile detrarre.

Per evitare che perdano ogni convenienza, con l’effetto di distorcere il mercato dei prestiti, i commercialisti propongono di ricondurre le operazioni di leasing all’imponibilità Iva. Sulla norma che introduce per i professionisti l’obbligo di tenuta di conti correnti bancari o postali, Damiani e Santorelli fanno rilevare come essa sia “un elemento di ingiusta discriminazione nei confronti dei professionisti rispetto agli altri soggetti passivi. Sarebbe quindi più logico e coerente – sostengono -, considerate le finalità della norma (semplificazione dei controlli e contrasto dell’evasione fiscale), che essa avesse valenza generale, gradualizzata e limitata ai soggetti aventi dimensioni superiori ad una soglia determinata.

L’obbligo andrebbe quindi limitato soltanto agli incassi e prelevamenti superiori ad un certo ammontare, con la limitazione dell’obbligo di utilizzo del conto corrente bancario o postale ai soli professionisti aventi compensi superiori ad un soglia definita (non meno di 300.000 euro)”.

Damiani e Santorelli definiscono poi “inutilmente vessatoria” la norma che introduce per la clientela dei professionisti il divieto di riscossione in contanti dei compensi professionali, in quanto costringe chiunque a dotarsi di un conto corrente bancario ovvero a recarsi in banca o all’ufficio postale per il pagamento anche di importi di minima rilevanza. In alternativa, propongono di innalzare a 3.000 euro il limite entro cui resta possibile la riscossione in contanti del compenso professionale, in modo da agevolare il pagamento delle prestazioni di più modesta rilevanza.

Sull’introduzione dell’obbligo di comunicazione di alcune informazioni bancarie all’Anagrafe tributaria i due consigli nazionali esprimono “forti perplessità”, derivanti dalla mancata previsione di misure di riservatezza delle informazioni comunicate all’anagrafe tributaria.

Altra nota dolente è eliminazione della regola del 2 su 3 per gli Studi di settore, sulla quale Dottori e Ragionieri commercialisti esprimono “la loro totale contrarietà”, anche perché hanno sempre sostenuto la tesi dell’inapplicabilità degli studi di settore alle professioni liberali il cui lavoro intellettivo è difficilmente catastizzabile.

“La norma”, si afferma nel documento, “segna un passo indietro rispetto al principio costituzionale di capacità contributiva che impone di tassare i contribuenti in funzione del reddito effettivamente prodotto e non di quello presumibilmente attribuibile agli stessi”. Per questo chiedono l’eliminazione della disposizione e la conferma dei criteri di applicazione degli studi di settore in vigore prima del decreto. Studi di settore la cui applicazione andrebbe completamente eliminata per i professionisti.

I commercialisti, inoltre, respingono decisamente la reintroduzione dell’obbligo di presentazione degli elenchi dei clienti e dei fornitori, in quanto si tratta di un adempimento che “già in passato non ha dato i frutti sperati sotto il profilo della lotta all’evasione e che, di contro, comporta un evidente aggravio di costi e procedure per i contribuenti ed i loro consulenti”. L’adempimento deve essere pertanto eliminato.In subordine dovrebbe essere limitato ai soggetti obbligati alla tenuta della contabilità ordinaria ed avere attuazione a decorrere dall’introduzione dell’obbligo della fatturazione elettronica.

Quanto all’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri da parte dei commercianti al minuto e soggetti assimilati, è auspicabile, sostengono Damiani e Santorelli, che esso sia tramutato in facoltà, in modo da lasciare al contribuente la libertà di avvalersi della procedura nei casi in cui effettivamente la stessa risulti conveniente.

Se l’obbligatorietà dell’adempimento venisse confermata, se ne dovrebbe prevedere l’applicazione in maniera graduale, inizialmente per le sole imprese di maggiori dimensioni. Andrebbe inoltre riconosciuto un credito di imposta, compensabile, pari al 40% dei maggiori costi sostenuti e debitamente documentati per l’acquisto di hardware e software o per il ricorso ai servizi offerti dagli intermediari. Damiani e Santorelli, ritengono infine “che non può essere accetta la nuova disciplina dei pagamenti fiscali obbligatori telematici tramite intermediari. Si tratta di un onere gravosissimo che facilita banche e fisco esentandoli da compiti propri. Se senza adeguati corrispettivi i commercialisti non vogliono caricarsi di nuove incombenze per facilitare altri”.

In allegato la prima e la seconda parte in formato PDF dell’audizione svoltasi presso le commissioni Bilancio e Finanze e Tesoro del Senato